25 aprile 2020

Il salotto di Villa Migone dove fu firmata la Resa.
Il salotto di Villa Migone dove fu firmata la Resa.

Sabato 25 aprile, considerata la chiusura al pubblico a causa dell’emergenza corona virus, Villa Migone non potrà aprire i suoi spazi come avviene tutti gli anni in occasione di questa celebrazione. Abbiamo creduto opportuno permettere almeno un tour virtuale della Villa attraverso i mezzi offerti dalla tecnologia informatica e i social media.

In questa pagina sarà possibile visitare la “Sala della Resa” e altre parti di villa Migone grazie a cinque filmati con commento. Inoltre è presente un saluto del proprietario Gian Giacomo Migone e di altre persone che hanno un legame con questa storica dimora, la sua storia e la Resistenza.

Sotto ai filmati, pubblichiamo un articolo scritto da Antonio Musarra, ricercatore e docente di Storia Medievale presso l’Università La Sapienza di Roma.

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Buon 25 aprile!

Sarà vera Liberazione – di Antonio Musarra

«Popolo genovese esulta. L’insurrezione, la tua insurrezione, è vinta. Per la prima volta nel corso di questa guerra, un corpo d’esercito agguerrito e ancora bene armato si è arreso dinanzi a un popolo. Genova è libera. Viva il popolo genovese, viva l’Italia».

Così esordiva su Radio Genova il partigiano Pittaluga – Paolo Emilio Taviani –, alle 9 del mattino di giovedì 26 aprile 1945, annunciando la liberazione della città. La sera prima, alle ore 19,30, il generale Günther Meinhold, comandante delle Forze Armate Germaniche, assistito dal capitano Asmus, Capo di Stato maggiore, e dal sergente Pohl, con funzioni d’interprete (suicidatosi, poi, nel corso della notte), firmava la resa dinnanzi al presidente del Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria, Remo Scappini, alla presenza dell’avvocato Errico Martino, del dott. Giovanni Savoretti (nonno del noto Jack Savoretti) e del maggiore Mauro Aloni, Comandante della Piazza di Genova. La scena si svolgeva nel quartiere di San Fruttuoso, a Villa Migone, situata a fianco a Villa Imperiale. Un paio d’ore prima, un grosso contingente di circa 6000 uomini, in attesa presso il porto, s’era arreso ai partigiani.

Fotografia dell'atto di Resa, conservato al Museo del Risorgimento.
Fotografia dell’atto di Resa, conservato al Museo del Risorgimento.

Le celebrazioni per il 25 aprile si scontrano, quest’anno, con la dura realtà della mancanza di libertà. Certo, lo stare a casa, il limitare gli spostamenti è da ritenersi, innanzitutto, una misura di salvaguardia per il prossimo. Ed è giusto rispettare i divieti. L’impressione, tuttavia, è che, per la prima volta da quel passato più o meno lontano, buona parte del popolo italiano sperimenti – naturalmente, mutatis mutandis – cosa significhi essere privati della propria libertà. Da questo punto di vista, l’anniversario della Liberazione non può che acquisire significati ulteriori. A maggior ragione per una città come Genova, la cui storia recente è intrinsecamente legata a quell’evento.

La cronistoria di quei giorni è stata più volte oggetto di dibattito. Sappiamo di come, il 23 aprile, verso le 21, si fosse svolta una riunione tra i membri del Comitato di Liberazione per stabilire se dare il via o meno a un’insurrezione. Il Comando germanico aveva annunciato, mediante il cardinale Pietro Boetto e il vescovo ausiliare, Giuseppe Siri, di rinunciare alla distruzione del porto in cambio di quattro giorni di tregua, così da permettere all’esercito tedesco di ritirarsi. A seguito d’un’accesa discussione si decise per la rivolta, l’ordine della quale fu diramato nella notte. L’operazione ebbe inizio con il sabotaggio delle linee elettriche ad alta tensione, così da interrompere le comunicazioni e da bloccare la ferrovia. Nel frattempo, la brigata Balilla entrava in Sampierdarena, mentre altri reparti, appoggiati dai camalli del porto, provvedevano a disinnescare gli esplosivi piazzati lungo i moli e sott’acqua. Intanto, è occupata la stazione radio di Granarolo, da cui sono trasmessi messaggi del Comitato di Liberazione.

Un vero e proprio scontro a fuoco ebbe inizio il giorno seguente, verso le 5 del mattino, coinvolgendo in particolare piazza de Ferrari. Nel frattempo, le delegazioni di Sestri Ponente, Cornigliano, Pontedecimo, Bolzaneto e Rivarolo, da un lato, Quarto e Quinto al Mare, dall’altro, si sollevavano. La città risultava spaccata in due. Le colonne tedesche, bloccate tra due fuochi. Il generale Meinhold minacciò di fare uso delle batterie pesanti installate sul monte Moro, dotate di cannoni navali. La situazione, tuttavia, era quanto mai critica. Forte del migliaio di catturati, il Comitato di Liberazione Nazionale decise, infatti, per un ultimatum: qualora fosse stata messa in atto una rappresaglia contro i civili, tanto gli uomini in loro possesso, quanto il generale sarebbero stati giustiziati come criminali di guerra. La mattina del 25 aprile, poco oltre le 9,30, i presidi tedeschi installati a Voltri e a Prà decisero di arrendersi, seguiti, poco dopo, da quello di Arenzano. Le Squadre d’Azione Patriottica controllavano, ormai, piazza Acquaverde (ma non la Stazione Principe), le caserme di Sturla, l’ospedale di Rivarolo e vari passi strategici lungo la Val Pocevera.

Fu allora che Carmine Romanzi, partigiano e futuro rettore dell’Università di Genova, si presentò presso il comando tedesco, di stanza a Savignone, con due lettere per il generale Meinhold, una delle quali del cardinal Boetto, che

Copia dell'atto di resa, parte in Tedesco.
Copia dell’atto di resa, parte in Tedesco.

si rendeva garante di eventuali accordi; l’altra, invece, recante, la proposta di resa da parte del Comitato di Liberazione Nazionale. Consapevole dell’impossibilità di ritirarsi verso la linea Gotica, a causa della presenza dei partigiani della Divisione Pinan Cichero lungo le valli interne, disobbedendo agli ordini, Meinhold decise di accondiscendere – venendo condannato a morte in contumacia da Berlino –, facendosi scortare, disarmato, presso Villa Migone.

L’edificio, di antica origine, sorgendo su preesistenze medievali, era entrato in possesso della famiglia nel 1792. Il 22 marzo del 1945, giacché sia il palazzo vescovile di Stradone Sant’Agostino – adiacente l’attuale Facoltà di Architettura –, sia la curia erano stati gravemente danneggiati dai bombardamenti alleati, vi aveva trovato ospitalità il cardinal Boetto. Fu, dunque, tale presenza del cardinale a favorire la scelta di Villa Migone come sede per la firma della resa, stilata in quattro copie, le cui minute sono, oggi, conservate presso la struttura, per gentile concessione della famiglia Meinhold. Le due copie originali degli atti di resa, invece, si trovano altrove: l’una, presso il Museo del Risorgimento di Genova; l’altra, a Gerusalemme, recatavi da un membro dell’Istituto ligure per la Storia della Resistenza.

Alle 19 del 26 aprile, un lungo corteo formato da circa 6000 soldati tedeschi sfila disarmato per le via della città scortato ai fianchi dai partigiani, che rispettano la promessa della loro liberazione. Nel 1953, il comune di Genova, avrebbe affisso una lapide sul loggiato esterno a ricordo dell’evento. Oggi, nel settantacinquesimo anniversario della Liberazione, Villa Migone svetta, ancora, tra gli alberi a ricordarci quella Libertà recuperata, simbolo di quella che libertà cui oggi tutti noi agogniamo.