Dopo la liberazione, la guerra non è finita

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Il salotto di Villa Migone dove fu firmata la Resa.

Sono le 19,30 del 25 aprile 1945 quando il generale tedesco Gunther Meinhold, comandante in capo delle truppe tedesche in Liguria, firma la resa nelle mani dei partigiani, nella sala di Villa Migone a Genova. Ma ancora una volta non c’è il tempo di festeggiare, perché la guerra non è finita, perché ci sarà ancora una “coda” di Sono le 19,30 del 25 aprile 1945 quando il generale tedesco Gunther Meinhold, comandante in capo delle truppe tedesche in Liguria, firma la resa nelle mani dei partigiani, nella sala di Villa Migone a Genova. Ma ancora una volta non c’è il tempo di festeggiare, perché la guerra non è finita, perché ci sarà ancora una “coda” di quarantott’ore piene di tensione e di scontri.

Un documento storico: la prima minuta dell’atto di resa con tutte le correzioni portate a mano.
Un documento storico: la prima minuta dell’atto di resa con tutte le correzioni portate a mano.

Nella notte appena trascorsa, le forze partigiane hanno messo fuori combattimento gran parte delle postazioni d’artiglieria tedesche sulle alture di Granarolo, occupando anche la stazione radio. Tutte le vie di fuga verso nord sono ormai in mano ai patrioti e qualche ora più tardi il generale Gunther Meinhold viene contattato, sia dal cardinale Boetto, sia dal Comitato di Liberazione Nazionale: i partigiani gli impongono una resa incondizionata, che permetterebbe comunque ai vinti di salvare la vita di migliaia di soldati, mentre l’arcivescovo di Genova si rende garante dell’accordo. A questo punto Meinhold è di fronte a un bivio: obbedire a Hitler e dare l’ordine di far esplodere le migliaia di mine disseminate in città e nel porto, per poi tentare una disperata fuga verso il Piemonte, con le strade ormai sotto il controllo del nemico, oppure evitare il massacro e accettare la resa. Sceglie la seconda ipotesi e si presenta a Villa Migone, da poco più di un mese temporanea sede vescovile, essendo le due ufficiali (il palazzo del complesso di San Silvestro in stradone S. Agostino – attuale sede della Facoltà di Architettura – e il palazzo della curia di San Lorenzo) rese inagibili dai bombardamenti alleati. Qui, accompagnato dal suo vice, capitano Hasmus e dal sergente Pohl, che funge da interprete, incontra il Presidente del Comitato di Liberazione Nazionale Remo Scappini, il dottor Giovanni Savoretti, l’avvocato Errico Martino e il maggiore della piazza di Genova, Mauro Aloni. Solo alle ore 19,30 viene firmato l’atto di resa, stilato in quattro copie, nel quale è scritto, fra l’altro, che “Tutte le Forze armate germaniche di terra e di mare alle dipendenze del signor generale Meinhold si arrendono alle Forze armate del Corpo volontari della Libertà alle dipendenze del Comando militare per la Liguria…”

La poderosa batteria di Monte Moro, che minacciava la città.
La poderosa batteria di Monte Moro, che minacciava la città.

Sembra tutto finito, anche questa volta, ma non mancheranno tragici sviluppi. Solo poche ore più tardi, infatti, il sergente Pohl, l’interprete, fanatico seguace di Hitler, si uccide con un colpo di pistola, mentre il generale Meinhold trasmette l’ordine della resa a tutti i suoi reparti, incontrando però forti resistenze da parte degli ufficiali più legati al nazismo, molti dei quali s’impegnano a combattere fino alla morte. Sull’altro fronte, è il partigiano Pittaluga, al secolo il futuro ministro della Repubblica italiana Paolo Emilio Taviani, a dare l’annuncio della liberazione della città con le parole: “Popolo genovese esulta. L’insurrezione, la tua insurrezione, è vinta. Per la prima volta nel corso di questa guerra, un corpo d’esercito agguerrito e ancora bene armato si è arreso dinanzi a un popolo. Genova è libera. Viva il popolo genovese, viva l’Italia”. L’annuncio viene diramato all’alba del 26 aprile dalla stazione radio che si trovava a Granarolo, nello slargo all’incrocio tra via Bartolomeo Bianco e via Caduti senza croce.

La città s’imbandiera: tutto sembra finito, ma non tutti i tedeschi cedono. La resa dei presìdi di Principe e di Negro favoriscono i collegamenti fra il centro della città e Sampierdarena, ma non posano le armi la Marina del porto, le truppe di Nervi, di Via Giordano Bruno, di San Benigno. Il Comando della Marina, anzi, proprio mentre si sta svolgendo l’insediamento del nuovo prefetto, manda due ufficiali per dichiarare di aver condannato a morte Meinhold, secondo gli ordini di Hitler, e d’essere pronto a bombardare la città con le batterie pesanti di Monte Moro. Contemporaneamente si presenta la minaccia della colonna tedesca che, proveniente dalla Spezia, ha raggiunto, sia pure assottigliata, i pressi di Rapallo. Mentre decine di cecchini delle Brigate Nere continuano a fare vittime (tra queste, Tonino De Toni, figlio del luminare Giovanni, ucciso in via Redipuglia, proprio dietro l’ospedale Gaslini, dove lavora il padre).

Un partigiano di guardia dopo la riconquista di piazza De Ferrari
Un partigiano di guardia dopo la riconquista di piazza De Ferrari

Quindi risuonano ancora le sirene e sulla città in festa si stende un velo di tristezza e preoccupazione, in quanto si teme che i tedeschi abbiano messo in atto il loro insano proposito. Contemporaneamente però cominciano a sfilare per le strade cittadine i reparti dei partigiani. Armati, equipaggiati, magnifici, sfilano, cantando, i giovani, che, per lunghi mesi, sulle pendici dell’Antola, nei paesi dell’Alto Trebbia e dell’Alto Scrivia, avevano sognato questo momento. Con il loro aiuto, le squadre del centro cittadino portano l’attacco decisivo contro le truppe tedesche del porto, che finalmente si arrendono con l’onore delle armi. Una lunga fila di 1200 tedeschi percorre, così, le vie della città. Subito dopo anche il presidio di via Giordano Bruno si arrende, mentre la colonna tedesca, proveniente da Levante viene fatta prigioniera dai partigiani calati da Uscio sulla litoranea. La sera stessa le avanguardie americane raggiungono Nervi. Molti di loro hanno restano come inebetiti alla visione del primo tram in moto e delle case illuminate: per la prima volta una città liberata si presentava a loro nelle sue condizioni normali di vita.

Le truppe tedesche, con il generale Meinhold in testa, sfilano in via XX Settembre dopo la resa
Le truppe tedesche, con il generale Meinhold in testa, sfilano in via XX Settembre dopo la resa

La mattina del 27, infine, il grosso delle truppe americane entra in città. II Generale Almond, in visita al Comitato di Liberazione Nazionale, testimonia che Genova ha compiuto cose prodigiose (“A wonderful job”, dice), nel prendere in consegna i trentamila soldati tedeschi fatti prigionieri dai partigiani. Intanto, dinanzi alle squadre cittadine ancora in armi, cade l’ultimo presidio di San Benigno, mentre la batteria di Monte Moro – unico reparto superstite del grosso corpo d’esercito tedesco operante nella provincia di Genova – si arrende alle truppe americane. Così termina l’insurrezione di Genova, costata la morte di trecento combattenti e il ferimento di altri tremila. Ma il peso di questa insurrezione è enorme. Due divisioni tedesche, che avrebbero potuto ritirarsi sul Po, difendere Milano e Torino, e organizzarsi poi sull’Adige, sono state distrutte o disperse da un popolo in armi e dai partigiani. Milano può così insorgere, senza preoccuparsi che sopraggiungano truppe tedesche da sud; le stesse divisioni tedesche del Piemonte sono isolate, e più facilmente controllate dai contingenti partigiani delle Langhe e delle Alpi.

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